Un ostinato Novembre che si è travestito da Settembre istiga a non perdere occasione; a breve,
quando al primo passaggio della più banale delle perturbazioni, la piana di Campo Imperatore si
vestirà di bianco, rimarrà isolata ed inaccessibile fino a Maggio. E per molte delle montagne lì
attorno sarà come non esistere più per le frotte di escursionisti. Non è esattamente così, ma non
sarà nemmeno banale riuscire a frequentarle.
Un ultimo sguardo alla piana, perdersi ancora una volta nelle vastità di questo altopiano e imprimere
nella memoria le linee verticali , i colori, i profumi delle montagne tutto intorno; un programma
semplice eppure irresistibile, per vivere, nell’assoluta immobilità del clima autunnale di questo periodo,
una lenta giornata a contatto con un ambiente unico e che abbiamo la fortuna di avere molto vicino.
I colori stepposi delle montagne mentre saliamo verso Campo Imperatore sono struggenti, gli orizzonti
sono confusi nelle brume mattutine ma permettono di intuire le linee delle montagne che conosciamo e
amiamo. Ad ogni curva ricerco ciò che so esistere e che ho dentro, conosco ogni dettaglio, le valli
che si aprono, i laghetti che raccolgono le acque di scolo, il profilo della Majella giù in fondo,
i ruderi delle pazzie degli imprenditori e politici d’assalto che volevano piste sul monte Cristo, e
le curve, le tante curve che ora ti mettono davanti il Sirente ed un momento dopo Pizzo Camarda; fino
alle ultime, quando il San Gregorio a Paganica degrada e lascia comparire l’inconfondibile cresta
seghettata che va dalle Torri al Prena. E la piana si espande, si allunga, nelle taglienti ombre di una
mattina che stenta a crescere; mille volte sono stato qui ed è sempre come la prima, e viene la voglia
di fermarsi, di spegnere il motore, per immergersi nel silenzio ad aspettare di essere sfiniti da tutto questo.
L’importante è non avere fretta e fare incetta di ogni dettaglio, anche quelli straconosciuti; la
strada fila quasi diritta nella prateria, la lunga bassa cresta del Brancastello sfila sulla destra
disturbata solamente dalle frequenti frane e fiumane detritiche che scendono lungo i tanti canali.
Superata la dorsale erbosa che scende scura dal San Gregorio a Paganica, dalla rugginosa prateria sbuca
improvviso il Corno Grande. Spunta sempre quello scoglio imponente, dietro la stessa curva appare e
sempre, è come vederlo per la prima volta. In quella piatta altura non ci si abitua mai a quella presenza incombente e verticale.
Prima delle ultime rampe, prima di salire verso l’osservatorio, sul curvone entriamo nella sterrata a
destra, l’ampio parcheggio, quando arriviamo noi, è ancora vuoto, anticipa la lunga rovinata carrareccia
che taglia fino al Vado di Corno, la vera porta di accesso alla lunga cresta, al sentiero del Centenario,
agli ampi panorami fino all’Adriatico. Sale lenta di quota la strada “sgarrupata”, taglia le pendici del
monte Aquila il cui fianco sale ripido ed inciso dai familiari e frequenti canaloni brecciosi , ci alziamo
sulla piana che nella sua devastante, solitaria e unica bellezza ricorda le steppe americane o nordiche e
i tanti films girati con questi meravigliosi palinsesti; sono certo, adesso sbuca il cavallo che traina Terence.
Prima o poi scenderò da Vado di Corno, dalla parte opposta, a sfiorare il paretone, a farmi intimorire
dal vallone dell’Infermo, è un desiderio antico, che forse ora, placata la sete dell’inseguimento ai 2000
troverà soluzione; oggi no, oggi il desiderio si rispolvera brevemente quando mi riaffaccio su quel versante
boscoso e dominato dalla mole del Gran Sasso ma l’intenzione era altra, era quella di prendersi il tempo per
vivere Campo Imperatore e le sue montagne, era quella di fissarsi nella memoria tutto e sperare di conservarlo fino alla nuova stagione.
Prendiamo la cresta verso Sud, ora in bilico con l’altro versante che scende verso il teramano, ora su una
traccia che taglia il pendio verso Campo Imperatore. In cresta il vento leggero ma freddo, sferza, nei tratti
coperti sotto cresta il sole novembrino scalda a sufficienza ed il vento è assente, è un continuo riadattarsi
alle condizioni meteo e alle diverse temperature. Scendono parallele verso Campo Imperatore , frantumate in
ghiaioni perenni le bianche fiumane, scende minacciosa e ripida una frana che scompone letteralmente il
versante teramano sull’opposto lato; antiche protezioni di filo spinato ormai divelte ricordano di dover fare
attenzione, lo spigolo delle cresta è friabile, la verticalità è spinta, per curiosare è meglio fare qualche
passo in più e raggiungere la successiva sella. Tra continui sali e scendi, più i sali che i scendi, ci si
avvicina verso il punto più alto della nostra passeggiata; lentamente, sempre a rimirare la piana da una parte
e le colline teramane fino al mare dall’altra. Tra la foschia della mattina, e tra le azzurre brume dell’orizzonte
si seguono a perdita d’occhio le alture verso Sud-Ovest; Il Sirente e la Majella si distinguono , tutto il resto
forma un placido susseguirsi di onde di un mare azzurrognolo e di riflessi cui è impossibile resistere. Ipnotizzanti.
Prima di prendere l’ultimo attacco al Brancastello, il tratto di salita più lungo e più ripido dell’intera giornata
(si fa per dire), lungo una lunga ed ampia sella si discosta verso Est una dorsale che culmina in una piramide sassosa;
si tratta del San Gabriele, letteralmente un cumulo di pietre visto dalla cresta principale, una lunga dorsale se lo si
vede invece da Est, dalle colline teramane. Per Marina è un nuovo 2000, io lo tocco per la seconda volta, per entrambi
un punto di affaccio davvero diverso ed unico sul paretone. Spostandosi anche se di poche centinaia di metri verso Est
la vetta rimane di fronte all’enorme paretone; il pezzo di cresta percorso fin qui, il vallone dell’Inferno e la famosa
parete sono sfacciatamente li davanti a formare uno dei pezzi più belli dell’Appennino. Dalla vetta, dove un altarino
metallico sostituisce la classica croce il mare è più vicino, sembra di essere su un balcone privilegiato, peccato sia
esposto ad un vento fastidioso… Marina mi scappa subito dopo le foto di rito. Ritorniamo sulla cresta principale dove
sfilano una coppia di escursionisti ed un piccolo gruppo più lento che si fa raggiungere ed oltrepassare sotto l’attacco
dell’ultima salita. Non conto più le volte che sono stato su queste rampe e in questi sentieri, certo è, che mi ritornano
in mente le prime salite e l’impressione che ne avevo ricavato di forti pendenze; tutt’altro, “zigzagando” si sale e
tutto insieme si è sotto la vetta del Brancastello. Anche i panorami si allargano, ora fin sulle Torri di Casanova, sulla
scura e rugosa parete Est del Prena. Sul traverso sotto la vetta scorgo i due che ci avevano superato mentre eravamo su
San Gabriele, qualcosa mi diceva che sarebbe stato un incontro piacevole; un ammasso di capelli bianchi trattenuti da una
bandana rossa mi parlavano di qualcuno di familiare ma i due sembrava andassero di fretta, mi sembrava avessero già preso
a scendere dalla parte opposta, verso il Vado di Piaverano . Non mi rimaneva che osare e chiamarlo per nome, male che va
non mi avrebbe risposto: Mauro, urlo, e “penna bianca” si immobilizza, si volta verso la voce che a questo punto sono
certo abbia sentito, è lui, non c’è più alcun dubbio. Incontrare Mauro Trechiodi, un vecchio amico di scorribande. Sul
Brancastello non è cosa da immaginare, è stato davvero un piacere. Il piacere è stato ancora più vissuto perché con lui
c’era Luigi Nespeca, conosciuto , sfiorato sarebbe meglio dire, nelle poche occasioni create dal Club2000. Ci siamo
rattenuti una buona mezz’ora in vetta, di certo li ho trattenuti troppo visto il loro progetto di salire e attraversare
le torri di Casanova. Una rimpatriata, una lunga chiacchierata a raccontarci le tante cose che non abbiamo più condiviso,
ovviamente argomento principe sempre la montagna. Alcune foto in vetta tutti e quattro insieme e poi i saluti. Loro per
completare il progetto e noi di ritorno sulla via dell’andata. Non prima però di esserci soffermati ancora un po’ a
rimirare il mondo che avevamo intorno. Tra poco quassù sarà tutto bianco, tutto sarà ricoperto da una spessa coltre di neve,
il Brancastello , le Torri, anche la piana di Campo Imperatore saranno quasi off-limits; volevo fare il pieno di tutto,
chissà quanto tempo dovrà passare prima di ritornare da queste parti. Perché il Gran Sasso rappresenta sempre una delle
ultime escursioni prima che la dama bianca ricopra tutto e la prima quando sempre lei, la dama, lascerà il passo alle brughiere.
La discesa è veloce, dominata dalla mole del paretone sempre costantemente di fronte; è dominata anche da un sole più
caldo che presto presto ci costringe a rialleggerirci. Lungo la cresta mi fermo, serve una telefonata per assicurarsi un
posto in trattoria. A Filetto, come sempre, ce lo assicurano. Di ritorno verso la macchina, ci accorgiamo che lentamente
rallentiamo, a nessuno dei due va di lasciare questi posti. Prendo la macchina, faccio fermare Marina lungo la strada,
accanto al laghetto Pietranzoni, non mi voglio far scappare la più classica delle foto del Corno Grande. Peccato che un
leggero venticello increspi il piccolo stagno, l’effetto specchio sulla foto è rimandato; non quell’attimo di solitudine
e silenzio al cospetto di una natura faraonica che mi sono concesso. Non rimane che rientrare, una cucina di piatti casarecci ci aspetta .
Non ho voluto di proposito parlare di situazioni tecniche, il sentiero in condizioni di luce e meteo favorevole è sempre
ben evidente, il dislivello non supera i 700 metri e si allunga e ritorna su una decina di chilometri; è facile e semplice
addirittura, ma ti permette di vivere in cresta, una delle creste più belle delle nostre montagne, ti permette di raggiungere
i 2300 metri di quota, che non sono mai pochi, ti permette di vivere sensazioni di alta montagna, ti permette insomma di
ricevere in cambio un mare di piaceri e di soddisfazioni. Non è da sottovalutare, in questi posti se il meteo si rivolta
sa essere anche violento, ma se invece le condizioni favorevoli ci sono, se il meteo è stabile e certo, usatelo per far
uscire di casa i vostri amici, i vostri figli, le persone che amate e con cui avete piacere di condividere il bello. Ve
ne saranno certamente grati.